Dovremmo essere abituati a distinguere il silenzio, che nasce dalla meditazione, dalla riflessione, dalla preghiera e dalla contemplazione, dalla timidezza e dalla insicurezza, da quello che nasce invece dalla tristezza e dalla malinconia dalla angoscia e dall'inquietudine dell'anima, dalla depressione e dalla disperazione.

Nel silenzio le parole sono sostituite dai linguaggi dei volti, degli sguardi, delle lacrime e del sorriso, che dovremmo sapere decifrare e interpretare.

Il silenzio inquieta e non sappiamo cosa possa nascondersi nel venire meno delle parole e magari non pensiamo alle risonanze emozionali del nostro silenzio nel cuore di chi ci guarda; ci sono silenzi che intimidiscono, aggrediscono, fanno paura.

Una distinzione ancora più radicale è quella che separa il silenzio dal mutismo, nel quale si diventa monadi dalle porte e dalle finestre chiuse e non ci sono parole nè emozioni autentiche da comunicare agli altri e, cosa ancora più dolorosa, nemmeno ne abbiamo il desiderio.

Quante volte nell'incontro fra paziente e medico, ma anche tra genitori e figli, tra insegnanti e allievi, non si raccoglie il silenzio nel suo mistero, si cerca solo di interromperlo; questo anche perché non si hanno il tempo e la voglia, l'attenzione e la pazienza, la delicatezza e la sensibilità, che ci consentono di coglierne gli orizzonti del loro senso.

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