Ci sono poesie in cui la malinconia, detta anche tristezza, non ha nulla di doloroso e di scuro e si riflette in immagini dolcissime che l’azzurro e il verde scandiscono nella loro musicalità.

La malinconia leopardiana è la fonte fragile e stremata della poesia, che a volte si legge con cuore ferito.

Altre poesie sì nutrite di una dolce malinconia e sfibrata tenerezza, ma altre si accompagnano e sono immerse in una lacerante tristezza, una radicale disperazione; a volte colori accesi, associazioni tematiche folgoranti, immagini portatrici di angoscia e di morte, orrore che strazia il cuore, ferite lancinanti, lacrime, dolore che ha la durezza della pietra. In alcune poesie non c’è nemmeno frammenti di speranza.

Ci sono poesie che ci dicono ancora una volta come la condizione umana e clinica della tristezza, della malinconia, del male oscuro, non possa essere riunificata in una sola formulazione diagnostica, e invece sia disarticolata in due modelli di espressione clinica, quella semplicemente umana e quella patologica.

Antonia Pozzi: le sue poesie sono la testimonianza di una straordinaria sensibilità umana e poetica, di una grande fragile solitudine interiore. Quanto dolore ci può essere in una adolescenza senza che se ne accorgano né i famigliari né le persone amiche! E quanta attenzione è necessaria nel presagire questo dolore e nell’ascoltare le disperate richieste di aiuto. Un’anima ferita da una indicibile solitudine che ha tenuta nascosta per tutta la vita. Ci chiediamo come sia stato possibile che uno stato d’animo di disperata malinconia, di febbrile ostinazione, sia sfuggita agli occhi e all’intuizione dei genitori, della nonna, delle amiche e dei compagni di università. Non ci sono risposte a queste domande, ogni esistenza è colma di silenzio e di mistero, di discrezione e di nascondimenti, di timidezza e di nostalgia; la loro cifra segreta, trafitta dal dolore, si accompagna alla sua vita.

La dissociazione tra una vita interiore e la vita esteriore induce ogni volta a ripensare ai segreti insondabili dell’anima, alle infinite maschere che sono sui nostri volti, riarsi dal dolore, senza essere mai decifrate.

Una parola tra gli scritti di Antonia Pozzi, una immagine, come quella del buio, spalanca davanti a noi un deserto di angoscia, paura e sconforto.

Quale è stata la stella umbratile e fragile del mattino alla quale ho guardato nel corso di questo libro? Libro dedicato alle parole tematiche della psichiatria e al loro valore educativo e formativo al fine di creare parole umane gentili e concilianti, libere e rispettose della sensibilità e della dignità della persona.

Anche in una forma estrema di sofferenza psichica ci sono sensibilità e gentilezza, tenerezza e male di vivere, dolcezza e malinconia. Emozioni fragili e luminose che sono state matrici di bellissime poesie.

Esperienza allucinatorie e deliranti devono essere valutate nel significato che hanno nel paziente; ci sono deliri che consentono a una paziente o a un paziente di rivivere con minore angoscia la solitudine; meglio combattere con il mondo intero, meglio delirare, che essere soli.

Un’altra dolorosa conferma della complessità della cura in psichiatria che ha sempre a che fare con il guazzabuglio del cuore umano, che è umano, anche nei confini estremi della sofferenza psichica. Non dovremmo mai dimenticare quanto fragile e complessa sia la vita emozionale in una condizione psicotica, abitualmente considerata priva di senso. Non lasciamoci distrarre dai pregiudizi che non sanno vedere nella follia una esperienza umana dotata di senso e talora dolorosamente creativa.

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